In Italia, quasi 20 milioni di “forzati della sanità a pagamento”
19 giu 2019 | 3 min di lettura | Pubblicato da Franco C.
Oltre 7 milioni i cittadini che si sono indebitati per spese mediche
Sono tristemente noti con l'appellativo di “forzati della sanità a pagamento”. Secondo il Censis si tratta di circa venti milioni di italiani costretti, nell’ultimo anno, a pagare le cure mediche di tasca propria. Parliamo di prestazioni essenziali, regolarmente prescritte dal medico di famiglia, che però non si riesce a far evadere dalla sanità pubblica, vuoi per le liste di attesa troppo lunghe vuoi per liste bloccate.
Nel 2018, 19,6 milioni di italiani hanno provato a contattare il ssn senza esito. Questo, almeno, è quanto denuncia il Rapporto Rbm-Censis 2019, secondo cui, in dettaglio, sono 19,6 milioni gli italiani che nel 2018 hanno provato a contattare il servizio sanitario nazionale, ma che poi hanno dovuto rivolgersi alla sanità a pagamento, quella privata o quella intramoenia, a causa dei lunghi tempi di attesa. Lievita, dunque, la spesa privata, quella che spesso sconfina in prestiti personali, e che sale a 37,3 miliardi di euro, il 7,2% in più rispetto al 2014.
Liste chiuse o attese impensabili in 28 casi su 100. Questi cittadini, in 28 casi su 100, hanno avuto notizia di tempi d’attesa eccessivi oppure hanno trovato le liste chiuse, decidendo così di fare gli esami a pagamento. Secondo l’indagine Censis, passano nella sanità a pagamento ben il 36,7% dei tentativi falliti di coloro che cercano di prenotare delle visite specialistiche e il 24,8% dei tentativi di prenotazione di accertamenti diagnostici.
Il muro delle liste d’attesa. In media, gli italiani aspettano, secondo il Censis, 128 giorni per un esame endocrinologico, 114 giorni per uno diabetologico, 65 giorni per una visita oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per un esame dal gastroenterologo, 56 giorni per una visita oculistica. Per quanto riguarda gli accertamenti diagnostici, servono in media 97 giorni d’attesa per una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 per una densitometria ossea, 49 per una gastroscopia. Nell’ultimo anno, sempre secondo il Censis, il 35,8% degli italiani non è riuscito a prenotare nemmeno una volta una prestazione nel sistema sanitario pubblico, avendo trovato le liste d’attesa chiuse.
Italiani costretti a fare surf tra pubblico e privato. In Italia, fa notare il Censis, esistono 13,3 milioni di persone che hanno fatto delle visite specialistiche e degli accertamenti diagnostici sia nelle strutture del settore pubblico che in quelle del privato, alla caccia di una seconda opinione. Poi ci sono le necessità urgenti, quelle per cui non si può attendere: nell’ultimo anno, dice ancora il Censis, il 44% degli italiani si è rivolto direttamente ai privati in modo da ottenere almeno una prestazione sanitaria, senza nemmeno fare il tentativo di prenotare nel sistema pubblico. Questo è capitato al 38% degli italiani con redditi bassi e al 50,7% di coloro che hanno redditi alti. Tra le prestazioni prescritte dal medico che finiscono per passare direttamente ai privati, a causa delle difficoltà di prenotazione nel pubblico, ci sono le visite oncologiche (92,5%), quelle di chirurgia vascolare (88,3%), gli accertamenti diagnostici (83,6%) e le prime visite cardiologiche con ecg (82,4%).
Quasi tutti gli italiani mettono mano al portafoglio per curarsi. “Ormai quasi tutti, al di là della condizione economica, devono mettere mano al portafoglio se vogliono accedere ai servizi sanitari necessari”, sottolinea il Censis. E il riferimento va anche a quanti sono costretti a richiedere un prestito personale per potersi curare. Nel 2018, secondo Federconsumatori, sono stati oltre 7 milioni gli italiani che si sono indebitati, anche con prestiti personali, per far fronte a spese mediche.
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