Recesso: come funziona con i prestiti?
8 nov 2018 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria P.
Torniamo a parlare del diritto di recesso, che implica un ripensamento rispetto a un acquisto fatto o a un finanziamento contratto. Come ricorda l’associazione dei consumatori Adoc, il diritto di recesso può essere esercitato solo nell’ambito di una compravendita di beni o servizi fra un produttore/rivenditore e un consumatore finale: non vale, quindi, per chi acquista con partita IVA.
È d’obbligo per il venditore mettere il consumatore a conoscenza della sua facoltà di esercitare questo diritto, il quale – ricorda sempre l’Adoc – è irrinunciabile e non può essere sottoposto a penali o a limitazioni. È anche importante sapere che la possibilità di esercitare il diritto di recesso non è vincolata alla “giusta causa”: in altre parole, il consumatore può recedere senza dover dare spiegazioni sui motivi per cui chiede di sciogliere il contratto. Eventuali clausole contrarie a ciò presenti nel contratto vanno considerate nulle. Ma, in pratica, come si esercita il diritto di recesso?
Il termine da tenere a mente è quello dei 14 giorni, e vediamo perché. Nel caso del credito al consumo attraverso un prestito personale – come ci spiega la Banca d’Italia nella sua guida intitolata “Il credito ai consumatori in parole semplici” – entro 14 giorni dalla data della firma del contratto il consumatore può recedere dal contratto inviando una comunicazione al finanziatore, secondo le modalità indicate dallo stesso finanziatore. Se nel frattempo il consumatore ha ricevuto, anche soltanto in parte, l’accredito, entro 30 giorni dalla comunicazione del recesso deve rimborsare la cifra ottenuta e pagare gli interessi maturati fino al momento della restituzione. Il recesso dal contratto di credito, aggiunge Bankitalia, comporta come conseguenza un dietrofront anche rispetto ai connessi servizi accessori, forniti dal creditore o da altri, a meno che questi ultimi non dimostrino che l’erogazione dei loro specifici servizi sia in realtà autonoma, cioè al di fuori del perimetro dell’accordo con il finanziatore.
E nel caso dei prestiti finalizzati? Qui torniamo alle indicazioni di Adoc. Che chiarisce come “qualora il bene sia stato acquistato, in tutto o in parte, con l’ausilio di un credito che il professionista o un terzo abbiano concesso al consumatore, l’esercizio del diritto di recesso risolve di diritto anche il contratto per la concessione del credito”. Come abbiamo detto in altre occasioni, il prestito finalizzato coinvolge tre soggetti: consumatore, creditore e rivenditore. Facciamo l’esempio di un elettrodomestico: se non mi soddisfa, posso esercitare, nei termini previsti, il diritto di recesso; quindi, invierò la comunicazione al rivenditore, il quale sarà tenuto a informarne il creditore. Nemmeno in questa eventualità il consumatore può subire penali. Chiudiamo con un’ultima nota della Banca d’Italia. Nel caso in cui il contratto sia a tempo indeterminato, il consumatore può recedere in qualsiasi momento, senza penalità né costi. Il contratto può prevedere un obbligo di preavviso di un mese al massimo. Pure il finanziatore può recedere, ma deve comunicarlo al consumatore con almeno due mesi di preavviso. Oppure può sospendere il credito, ma in presenza di una giusta causa – per esempio, il sospetto di furto della carta di credito – informandone prima il consumatore.
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