Prestiti sì, ma a fondo perduto
11 gen 2013 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria P.
Giovani, disoccupati, donne. I prestiti, soprattutto per queste categorie, non servono solo a spendere e consumare. Possono essere utili anche a crearsi un lavoro. Chi ha un’idea, infatti, può fare leva sui finanziamenti a fondo perduto. A erogarli sono principalmente gli enti pubblici locali. In prima linea ci sono le Regioni, ma non solo. A metà dicembre, per fare un esempio, Cassa depositi e prestiti e Abi, l’Associazione bancaria italiana, hanno siglato un accordo per rendere disponibili le risorse finalizzate alla ricostruzione in Emilia dopo il terremoto di maggio. Si è concluso così un percorso che permetterà di far arrivare a famiglie e imprese i 6 miliardi di euro stanziati dal Fondo per la ricostruzione. Contributi, appunto, a fondo perduto.
Che cosa sono? La definizione la suggerisce la parola “perduto”: all’erogazione non segue alcun piano di rimborso; in altre parole, chi riceve il denaro non è tenuto a restituirlo. Sia chiaro: è un tipo di agevolazione pensata anche per le imprese che già esistono. Ma qui vogliamo occuparci di quei giovani, disoccupati o donne che hanno un progetto ancora da realizzare, progetto che si tradurrà in lavoro per se stessi e per gli altri.
In genere, funziona così. Il primo passo è la stesura di un piano d’affari, il cosiddetto “business plan”, che deve includere informazioni di tipo economico e finanziario: dunque, che cosa si vuole fare, come si pensa di farlo funzionare e quali risultati si stima che potrà dare nei tre anni immediatamente successivi alla messa in atto. Così strutturato, il progetto va presentato all’ente erogatore. Il quale distribuisce le risorse tramite un bando di concorso adeguatamente pubblicizzato. Il consiglio, per gli interessati, è dunque di tenere ben monitorati i siti degli enti pubblici che possono assegnare finanziamenti di questo tipo, in primo luogo la Regione di residenza e la Camera di Commercio, le cui sedi sono in tutti i capoluoghi di provincia. Importi e criteri di erogazione cambiano in base al tipo di investimento e all’area territoriale.
I finanziamenti possono essere concessi in parte senza obbligo di rimborso e in parte a tasso agevolato. Per quanto riguarda i giovani, i soggetti in questione devono avere tra i 18 e i 35 anni. Da distinguere l’autoimprenditorialità dall’autoimpiego, entrambi previsti dal decreto legislativo 185/2000. L’autoimprenditorialità sostiene la creazione di nuove società o l’ampliamento di quelle esistenti, mentre l’autoimpiego supporta il lavoro autonomo in forma di ditta individuale, la microimpresa come società di persone e il franchising in qualità di ditta individuale o di società.
Nel nostro Paese infine esiste Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa. Opera su mandato del governo per migliorare la competitività dell’Italia, e in particolare delle regioni del Sud. In questo quadro, gestisce le forme di agevolazione previste dal decreto legislativo del 2000. Morale: chi sta vagliando una nuova idea imprenditoriale - o è stato vittima di una calamità naturale e vuole accedere a un finanziamento per ripartire - può fare leva su prestiti “a basso costo”. Basta informarsi bene e prepararsi meglio.
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