Prestiti, se la banca fallisce
22 dic 2015 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria P.
Cosa succede al prestito se la banca fallisce? Il tema è più che mai d’attualità, considerando che il 22 novembre il governo italiano ha varato il cosiddetto “decreto salva-banche”, con il quale ha evitato il fallimento a Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara. Un intervento che ha avuto luogo sulla base delle nuove regole europee, secondo cui d’ora in avanti il salvataggio delle banche in difficoltà non è più - come è avvenuto nel recente passato - a carico degli Stati e dunque della spesa pubblica ma è sulle spalle degli investitori delle banche in questione. Nello specifico, gli investitori sulle cui spalle ricade il peso del salvataggio sono innanzitutto gli azionisti - i quali, avendo investito in azioni della società, hanno implicitamente accettato di partecipare al rischio d’impresa - e gli obbligazionisti, ossia coloro che hanno fatto credito alla banca sottoscrivendo bond. A finire nel mirino, recentemente, sono state in particolare le cosiddette obbligazioni subordinate, ovvero strumenti finanziari che danno un rendimento più alto rispetto alle obbligazioni ordinarie ma che, proprio in relazione a questo, sono associate a un rischio maggiore.
Il decreto salva-banche del 22 novembre ha portato a zero il capitale sociale degli azionisti, che dunque hanno perso i loro soldi. Non è andata meglio ai detentori di obbligazioni subordinate, come hanno segnalato le vicende di cronaca, i quali hanno visto azzerarsi il valore dei titoli nei quali avevano investito. In compenso, le quattro banche oggetto dell’intervento hanno continuato a esistere: al posto dei vecchi istituti, sono venute alla luce quattro “nuove” banche, alleggerite del peso dei passivi, che sono confluiti in una “bad bank”. Il tutto grazie anche al Fondo di risoluzione finanziato dal sistema bancario, che ha investito 3,6 miliardi per veder nascere le quattro banche-ponte. Questo breve “riassunto delle puntante precedenti” a dimostrazione di un fatto che - come d’altro canto dimostrano anche le cronache finanziarie degli ultimi anni da ogni parte del mondo - in un modo o nell’altro, i governi non lasciano fallire le banche.
Ciò per una ragione molto semplice: quando una banca fallisce, si porta a fondo non solo i posti di lavoro - il che già non è poco - ma anche i soldi dei risparmiatori e dei correntisti (anche se, è bene ricordarlo, in Italia i conti correnti fino a 100mila euro sono tutelati dal Fondo interbancario di tutela dei depositi). Insomma, le ripercussioni sull’economia rischiano di essere letali. Ecco perché si fa di tutto per salvare la parte “buona” delle banche in difficoltà, magari in vista dell’acquisizione da parte di altre banche più solide. In ogni caso - e anche in presenza di banche in bilico come le quattro menzionate - i prestiti non sono chiamati in causa. L’unica eccezione potrebbe essere la presenza, nel contratto sottoscritto, di una clausola che imponga al cliente di restituire tutto il denaro alla banca in affanno. Ma, in genere, il piano di rimborso procede secondo quanto concordato con la vecchia banca, solo che a incassare i soldi è il nuovo istituto o quello che lo ha assorbito, oppure la società che ne ha rilevato i crediti.
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