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Prestiti:il pignoramento conto terzi

5 mar 2018 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria P.

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Debiti non saldati? Sappiate che il creditore ha diversi strumenti a disposizione per far valere i suoi diritti. Uno è il pignoramento, attraverso il quale il creditore entra in possesso di un bene di proprietà del debitore, per esempio l’automobile. Poi c’è una procedura analoga, che si chiama “pignoramento presso terzi” e che allarga il raggio d’azione a quelle risorse che non sono fisicamente detenute presso l’abitazione del debitore: per esempio il conto corrente, lo stipendio non ancora versato dall’azienda o la pensione non ancora pagata dall’ente previdenziale. E altro ancora. Vediamo come funziona. Se il creditore è, per esempio, una banca e non il fisco, il pignoramento presso terzi prende il via con un’ingiunzione. Poi si passa dal giudice, che procede all’assegnazione al creditore delle disponibilità del debitore. Facciamo l’esempio del conto corrente. Ok, voi non avete soldi in casa né altre proprietà pignorabili. Potete stare tranquilli? Neanche per idea. Perché il pignoramento presso terzi consente al creditore, con l’intervento dell’autorità giudiziaria come visto sopra, di acquisire, espropriandolo, il denaro presente sul vostro conto corrente.

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Poi c’è lo stipendio, che il creditore può “aggredire” a monte: chiedendo cioè direttamente all’azienda per la quale il debitore lavora di dargli quanto gli spetta. Ma attenzione: anche i diritti del debitore vanno tutelati. Ecco allora che la legge prevede un tetto: il datore di lavoro può versare al creditore al massimo il quinto dello stipendio ogni mese, fino a rimborso completo. La logica è analoga a quella della cessione del quinto e parte dal presupposto secondo cui il debitore ha diritto a un minimo di reddito per sé e per la sua famiglia. Il quinto va calcolato al netto delle ritenute di legge e di precedenti cessioni volontarie. Con questa stessa logica e procedura è possibile pignorare anche la pensione, inclusa quella di invalidità o di reversibilità, così come altre somme che dovessero essere percepite a scopi assistenziali o previdenziali, ma sempre nei limiti di un quinto e al netto delle ritenute di legge e di eventuali precedenti cessioni volontarie, garantendo che al debitore resti una somma adeguata per vivere dignitosamente.

 

Anche il trattamento di fine rapporto può essere soggetto al pignoramento presso terzi, ma pure qui vale la regola del quinto, mentre l’eventuale canone di affitto di un immobile può essere pignorato per intero. Come ricorda Banca Ifis attraverso il suo sportello online CrediFamiglia, di pignoramento si è occupato il decreto legislativo 83/2015 con il nuovo quarto comma all’articolo 495 del codice di procedura civile. Il quale prevede un piano B “quando le cose pignorate siano costituite da beni immobili o cose mobili”. In questo caso, “il giudice con la stessa ordinanza può disporre, se ricorrono giustificati motivi, che il debitore versi con rateizzazioni mensili entro il termine massimo di 36 mesi la somma determinata a norma del terzo comma, maggiorata degli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito ovvero, in difetto, al tasso legale”. Ogni sei mesi il giudice provvede al pagamento al creditore pignorante o alla distribuzione tra i creditori delle somme versate dal debitore.

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