Banche e creditori, se manca la fiducia
20 mag 2013 | 3 min di lettura | Pubblicato da Maria P.
Quando si dice “due facce della stessa medaglia”. Da una parte calano i consumi, persino quelli per gli alimentari. Dall’altra, diminuiscono i crediti dalle banche. Una raffica di dati, diffusi di recente da Confcommercio, Associazione bancaria italiana e altri enti, certifica la cautela degli italiani, che in questo momento preferiscono mettere le briglie alla spesa in una scelta di rigorosa austerità casalinga. Tanto per cominciare, secondo l’indicatore elaborato da Confcommercio, l’Icc, i consumi italiani a marzo sono scesi al livello più basso dal 2000.
Rispetto allo scorso anno, la domanda relativa ai servizi si è contratta del 2,2%, mentre quella che riguarda i beni ha subito una flessione del 3,9%. Soltanto le comunicazioni registrano un incremento annuo, con un +3,1%. Il dato peggiore, sempre secondo Confcommercio, è ancora una volta quello sui beni e i servizi per la mobilità, la cui richiesta si è ridotta dell’8,5%. Ma una rilevante riduzione dei consumi tocca pure beni e servizi ricreativi (-5,6%), alimentari, bevande e tabacchi (-3%), alberghi e pasti e consumazioni fuori casa (-2,8%) e beni e servizi per la casa (-2,7%).
Si riduce il superfluo: secondo l’osservatorio CartaSì, i consumi delle famiglie ripartiranno nel 2014, con un rialzo del 2,4% ma con l’unica eccezione del settore moda, per il quale il ribasso pronosticato è addirittura del 10,2% nel 2013 e dell’8,5% nel 2014. Ma anche l’essenziale risente della congiuntura, con il carrello della spesa che si alleggerisce. Nell’ultimo anno, segnala Astra Ricerche in un’indagine effettuata per Granarolo, il 40% di chi compra ha rivisto i consumi di alimenti e nove persone su dieci hanno optato per una politica “anti sprechi”, con dosi più piccole e recupero degli avanzi.
Su questa austerità familiare si innesta la dinamica dei finanziamenti, che secondo l’Abi è in flessione anche ad aprile. La variazione annua è del -3,1% dal -2,6% di marzo, spiega il rapporto mensile dell’Associazione bancaria italiana. Sono le banche che non vogliono dare soldi o le famiglie che evitano di indebitarsi? La questione è complessa. Come soluzione, qualcuno propone il prestito sociale, altrimenti detto social lending: un finanziamento tra privati intermediati da un operatore quasi sempre via web. Ma secondo altri non ce ne sarebbe bisogno: le banche, dicono, per vivere devono vendere i loro prodotti, compresi i finanziamenti. Sostenere che non vogliono prestare denaro è come dire che il bottegaio sotto casa fa di tutto per tenersi la frutta e la verdura.
Il vero problema è che siamo a un punto di svolta: le banche e le finanziarie non possono più fare credito solo secondo i vecchi criteri – contratto a tempo indeterminato, reddito da lavoro assicurato per tutta la vita – e devono individuarne di nuovi per una generazione che – se tutto va bene – continuerà a lavorare con contratti atipici. E poi ci sono le famiglie, che hanno bisogno di recuperare fiducia nelle loro possibilità e soprattutto negli istituti di credito. Per rimettere in moto il sistema è fondamentale uscire da un’enorme cappa di diffidenza che induce gli italiani a tagliare le spese e a non indebitarsi perché, oggi più che mai, del domani non c’è certezza.
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